IL TRIBUNALE MILITARE
   Ha  pronunciato  nella  pubblica  udienza  del  7  ottobre  1998 la
 seguente ordinanza  nel  procedimento  a  carico  di  Mazzon  Antonio
 Angelo,  nato  a  Johannesburg  (Sudafrica)  il  28 dicembre 1965, ed
 elettivamente  domiciliato  ex  art.  169  c.p.p.  presso  lo  studio
 dell'avv.  C.  Vendramini  in  Padova;  libero, censurato, contumace,
 imputato di diserzione (art.  148, n. 1, c.p.m.p.) perche', perdurava
 nella  arbitraria  assenza  anche  posteriormente  alla  sentenza  di
 condanna del tribunale militare di Padova del 20 aprile 1995 e fino a
 tutt'oggi.
   Rilevato  che  il  reato per cui si procede nei confronti di Mazzon
 Antonio Angelo costituisce la  prosecuzione  di  quello  di  medesima
 natura  per  cui  lo  stesso  venne  gia'  giudicato e condannato dal
 tribunale militare  di  Padova  con  sentenza  del  20  aprile  1995,
 irrevocabile  il  15  giugno  1995, nonche' di quello precedentemente
 giudicato dallo stesso tribunale, con  sentenza  del  4  marzo  1992,
 irrevocabile il 21 maggio 1993;
   Ritenuto  che  e'  rilevante,  nel presente giudizio, verificare se
 quanto disposto dall'art. 14, quinto comma, della legge 230/1998  sia
 costituzionalmente illegittimo dal momento che, risultando contestato
 all'imputato, disertore, un rifiuto immotivato deducibile anche dalla
 durata ultra decennale dell'assenza al servizio di leva, per la quale
 lo  stesso  ha gia' subito precedenti condanne, la diversa disciplina
 applicabile, quella cioe' di cui al secondo o quella di cui al quinto
 comma dell'art. 14 citato, comportando  la  diversa  riconducibilita'
 dell'esonero dal servizio alla condanna o alla esecuzione della pena,
 incide sulla sussistenza o meno del fatto di reato oggi contestato;
   Considerato  che  le  parti hanno cosi' concluso: il p.m. chiedendo
 che venga  sollevata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.    14,  quinto  comma,  della legge n. 230/1998 e la difesa
 associandosi a tali richieste, il tribunale osserva quanto segue.
   Il Collegio ritiene che la questione di legittimita' costituzionale
 della norma in relazione al secondo comma della medesima disposizione
 per contrasto con l'art. 3 della Costituzione sollevata dal p.m.  non
 sia manifestamente infondata nei seguenti termini.
   Preliminarmente  occorre  considerare  che   nel   caso   de   quo,
 risulterebbe  applicabile  la  disciplina  di cui all'art. 14, quinto
 comma, della legge 8 luglio 1998, n. 230 che  prevede  l'esonero  dal
 servizio  di  leva  per  coloro  che  abbiano espiato una pena per un
 periodo complessivamente non inferiore alla durata  del  servizio  di
 leva,  avendolo  rifiutato,  prima  o  dopo  l'assunzione, per motivi
 diversi da quelli di coscienza o senza addurre alcun motivo.
   In merito, anche al fine di meglio ritenere l'applicabilita' ditale
 disciplina al caso di specie, appaiono opportuni  alcuni  riferimenti
 al  principi  indicati  dalla  Corte  costituzionale  con le sentenza
 numeri 343/1993; e 43/1997.
   Con  la  prima  sentenza  la  Corte  dichiaro'  la   illegittimita'
 costituzionale  dell'art. 8, terzo comma, della legge n. 772/1972, in
 connessione con l'art. 148 c.p.m.p., nella parte in cui  non  prevede
 l'esonero dalla prestazione del servizio militare di leva a favore di
 coloro   che,  avendo  rifiutato  totalmente  in  tempo  di  pace  la
 prestazione del servizio stesso senza aver addotto motivi diversi  da
 quelli  di  coscienza  o  senza  aver  addotto  alcun motivo, abbiano
 espiato per quel comportamento la pena di misura non  inferiore  alla
 durata del servizio di leva.
   A  tale  conclusione  la  Corte  giungeva  in virtu' di quanto gia'
 dichiarato  nella  sentenza  n.  409  del  1991  osservando  che  ...
 "l'eccessiva  sproporzione del trattamento sanzionatorio dei reati di
 rifiuto  del  servizio  militare  diversi  da   quello   disciplinato
 nell'art.  8,  comma  2, della legge n. 772 del 1972 deriva dal fatto
 che la clausola di esonero prevista dal comma 3 del ricordato art.  8
 costituisce  una  sorta di garanzia della proporzionalita' della pena
 nel senso che, in mancanza della stessa di fronte alla manifestazione
 di un rifiuto totale del servizio di leva, la  sanzione  penale,  pur
 determinata  nella  stessa  misura edittale stabilita per il reato di
 cui  all'art.  8  e'  destinata  ad   applicazioni   reiterate   fino
 all'esaurimento del correlativo obbligo di leva".
   Cosi'  la  Corte  ribadiva  che  l'esonero previsto a seguito della
 esecuzione della pena, costituisce l'unica soluzione  adottabile  dal
 legislatore per evitare che lo stesso imputato subisca una pluralita'
 di  condanne nel caso di perdurante assenza dal reparto. Peraltro, il
 giudice delle leggi si esprimeva in tal senso anche con  la  sentenza
 n.  422  del  1993 con cui, oltre ad affermare che l'esonero consegue
 alla esecuzione della pena  anche  nel  caso  di  rifiuto  immotivato
 realizzatosi  "dopo"  la  assunzione  del  servizio,  chiariva che la
 sentenza n. 343 del 1993 "... ha evidentemente una  portata  generale
 nel  senso  che estende i suoi effetti a tutti i militari imputati di
 reati comportanti forme di  rifiuto  del  servizio  militare  che  si
 vengano  a  trovare  assoggettati  alla  spirale  delle condanne". In
 definitiva  la  Corte  costituzionale  con   le   indicate   sentenze
 individuava,  nella  condotta di colui che, con l'adduzione di motivi
 diversi o senza alcuna motivazione, omette di svolgere il servizio di
 leva, un rifiuto sostanziale.
   Inquadrando entrambe le ipotesi, rifiuto per motivi di coscienza  e
 per   motivi   diversi   o   immotivato,   estendeva   la  disciplina
 dell'esonero, seppure solo a seguito della espiazione della  pena,  a
 tutte le ipotesi di rifiuto del servizio di leva diverse da quelle di
 cui  all'art.    8 citato, anche se concretizzatosi dopo l'assunzione
 del servizio, come nel caso del disertore, in virtu'  della  esigenza
 di  evitare una serie di condanne cosi' lunga e pesante che distrugga
 "la sua intima personalita' umana e la speranza di una vita  normale"
 (Corte cost. sent. n. 467 del 1991).
   Con   la   seconda   sentenza   la   Consulta,  nel  dichiarare  la
 illegittimita' costituzionale dell'art. 8,  secondo  e  terzo  comma,
 della  legge  n.    772/1972  nella  parte  in  cui  non  esclude  la
 possibilita' di piu' di una condanna per il reato di chi al di  fuori
 dei  casi  di  ammissione  ai benefici previsti dalla legge suddetta,
 rifiuta in tempo si pace prima di assumerlo il servizio  militare  di
 leva  adducendo  i  motivi di coscienza, affermava che ... "per tener
 ferma la esigenza di non consentire la spirale di condanne, la Corte,
 non potendo negare in generale la applicabilita' degli istituti della
 sospensione e della estinzione della pena al reato previsto dall'art.
 8, secondo comma,  deve  invece  negare  l'assolutezza  della  previa
 espiazione della pena come elemento condizionante la ragione d'essere
 delle norme in esame".
   Con tale decisione la Corte, allo specifico scopo di scongiurare la
 spirale  di  condanne  a cui sarebbe sicuramente sottoposto colui che
 rifiuta il servizio di leva per motivi di coscienza,  e  persiste  in
 tale  suo  atteggiamento,  e  onde  evitare  la  inapplicabilita'  di
 istituti quali la  sospensione  della  pena  e  la  estinzione  della
 stessa,  fa  discendere  l'esonero dalla prestazione dalla condanna e
 non dalla espiazione della pena.
   Ora, la nuova legge sulla obiezione di coscienza,  nel  riformulare
 la  ipotesi  di  reato  gia'  prevista  dall'art.  8  della  legge n.
 772/1972, disciplina in modo differente la fattispecie di rifiuto per
 motivi di coscienza, e quella di rifiuto immotivato o  atipico  ossia
 di  rifiuto  per  motivi  diversi da quelli di coscienza o effettuato
 senza la adduzione di motivi.
   Mentre nella ipotesi di cui al secondo  comma  dell'art.  14  della
 indicata legge, e' previsto, per chi commette il reato di rifiuto per
 motivi  di  coscienza, l'esonero dal servizio di leva a seguito della
 condanna; al quinto comma, e'  previsto,  per  coloro  che  rifiutano
 immotivatamente  o  adducendo  motivi diversi da quelli di coscienza,
 l'esonero dal servizio di leva solo a seguito della espiazione  della
 pena.
   Per  gli  elementi  costitutivi  e  per  la disciplina prevista, il
 secondo comma dell'articolo citato prevede la fattispecie del rifiuto
 del servizio di leva nei termini di cui all'abrogato art. 8,  secondo
 comma  della  legge  n.  230/1998,  seppure  riletto  alla luce degli
 interventi della Corte costituzionale.
   Diversamente, il  quinto  comma,  risulta  introdotto  al  fine  di
 disciplinare   le   ipotesi  di  rifiuto  immotivato  o  atipico  non
 espressamente  previsto  dalla  precedente  legge  n.   772/1972   ma
 individuato  dalla  Corte  costituzionale nelle ipotesi in cui la sua
 condotta omissiva dell'agente denoti,  seppure  tacitamente,  il  suo
 rifiuto all'espletamento del servizio di leva.
   Argomentando  da  quanto  assunto  dalla  Corte  con le sentenze n.
 422/1993 e n. 343 del 1993 citate si puo' individuare nella  condotta
 del  disertore, suffragata da elementi significativi ulteriori, quale
 anche  la  lunga  durata  della  assenza,  un  rifiuto  tacito   allo
 svolgimento del servizio dopo averlo assunto.
   Tanto  induce  a  ritenere  che  la fattispecie di cui all'art. 14,
 quinto comma, anche attesa la assenza di una specifica sanzione,  non
 costituisca  una  autonoma  fattispecie  di  reato  bensi' indichi la
 disciplina  applicabile  nel  caso  di  rifiuto  ccdd.   atipico   in
 applicazione  dei  principi  gia' indicati dalla Corte costituzionale
 con tali sentenze in merito ai reati di assenza.
   Pertanto, ai sensi dell'art. 14, 5 comma, della legge  n.  230/1998
 il  disertore  che con la sua condotta omissiva, perdurante nel tempo
 abbia sostanzialmente rifiutato il  servizio  militare,  dopo  averlo
 assunto,  sia  pure  per motivi di varia natura o anche senza addurre
 alcun motivo, e' esonerato dal servizio di leva se espia una pena  di
 durata non inferiore a quella prevista per il servizio militare.
   Tanto  premesso, ritenuta la applicabilita' di tale disciplina alla
 ipotesi  di  diserzione,  il  collegio  non  puo'  che  rilevare   la
 incongruita' di tale disposizione.
   Se,  infatti,  la funzione del quinto comma di tale norma, anche in
 applicazione dei principi indicati dalla Corte costituzionale con  le
 sentenze  indicate,  e'  quella  di  evitare  la spirale di condanne,
 inevitabile nel caso in cui pur  a  seguito  di  condanna  l'imputato
 persista  nel  rifiutare formalmente o sostanzialmente il servizio di
 leva, non si puo' che evidenziare la discrasia tra tale funzione e la
 concreta efficacia della norma.
   Infatti, subordinare l'esonero  alla  espiazione  della  pena,  non
 esclude comunque la ulteriore sottoposizione a giudizio dell'imputato
 relativamente  al periodo di assenza ingiustificata intercorrente tra
 la irrevocabilita' della prima condanna  e  la  materiale  esecuzione
 della stessa.
   Di  talche'  ne verrebbe vanificata la funzione ribadita piu' volte
 dalla Consulta   assunta dallo  stesso  legislatore  di  evitare  "la
 pressione  morale  continuativa della pluralita' di condanne" che non
 puo' non assumere rilevanza anche nella  ipotesi  di  cui  al  quinto
 comma.
   D'altro  canto, cosi' come formulata, la norma in questione si pone
 in contrasto con il principio di cui l'art. 3 della  Costituzione  in
 relazione a quanto disposto dal secondo comma della medesima norma.
   Cio' in quanto viene previsto un diverso trattamento per coloro che
 rifiutano  il  servizio  di leva per motivi di coscienza per i quali,
 intervenuto l'esonero, non vi potra' essere che una sola sentenza  di
 condanna,  e  coloro  che  rifiutano  il  servizio di leva per motivi
 diversi  o  senza  motivi,  per i quali intervenendo l'esonero solo a
 seguito della espiazione della pena non  inferiore  alla  durata  del
 servizio, ben possono esservi piu' sentenze di condanna.
   Tale  disparita'  di trattamento non appare ragionevole soprattutto
 qualora  si  consideri  che  il  legislatore,  con  tale  disciplina,
 creerebbe   una   sproporzione   sanzionatoria  complessiva  tra  due
 fattispecie,  entrambe  relative  a  manifestazioni  di  rifiuto  del
 servizio  di  leva  che,  di fatto, comporterebbe, solo nella seconda
 ipotesi, la pressione continuativa delle reiterate condanne.
   D'altro canto non puo' neppure considerarsi ragionevole un  diverso
 trattamento  in relazione alla applicabilita' della sospensione della
 pena.
   Cio' in quanto colui che  rifiuta  adducendo  motivi  di  coscienza
 potra'  ottenere  il  beneficio  di  cui  all'art.  163  c.p. nonche'
 l'esonero dagli obblighi di  leva;  colui  che  comunque  rifiuta  il
 servizio di leva, seppure per motivi diversi da quelli di coscienza o
 senza  addurre  alcun  motivo, potra' usufruire solo alternativamente
 del beneficio della sospensione o dell'esonero atteso che, qualora la
 pena venga sospesa, non sara' possibile l'espiazione della pena.